Renato Lugoboni nacque a Negrar nel 1925 in una famiglia povera e numerosa. Riuscì però a prendere il diploma di terza elementare e poco dopo la fine della guerra sposa Elisa Bussola, di Tommenighe, una piccola frazione prima di Negrar. Nel 1952 nacque il primo figlio, Giancarlo. La famiglia Lugoboni si trasferì in via Quinzano e qualche mese dopo in via Sante Pinaroli, un isolato più in là. Nei quasi settant’anni che sono seguiti Renato ha continuato instancabilmente a darsi da fare per creare un senso di comunità in quartiere, in cui conosceva un po’ tutti.
Al tempo il distretto di Ponte Crencano quasi non esisteva ancora. L’unica chiesa era quella dei Camilliani, tutto intorno campi, fino a via Ca’ di Cozzi e oltre fino all’Adige. Nel ‘55 nacque anche la seconda figlia, Nadia. Lì vicino si trasferì anche la sorella di Renato, Emma. Nel frattempo la parte del quartiere vicino a Via Ca’ di Cozzi cresceva sempre di più, lì c’erano le attività economiche (piccole botteghe), le associazioni, dove c’è ora il semaforo di via Quinzano fermava il trenino che da Caprino arrivava fino a Ponte Garibaldi; lì c’era la vita. Ma dagli anni Sessanta si sviluppò anche un’altra zona, più spostata verso Avesa. Ad abitarla furono tutte persone che venivano “da fuori”, dei foresti: lavoratori che si erano trasferiti in questa parte della città o da altre città addirittura per lavorare all’ospedale, all’AGSM, alla Telve, all’Enel. In un tempo in cui per parlare con qualcuno non si scriveva certo su Whatsapp, ma si usciva di casa e si andava a trovarlo (il telefono serviva solo per parlare con chi non era proprio raggiungibile, in un’altra città), anche poche decine di metri potevano rappresentare una grande distanza e lontananza. Si sviluppò infatti subito una specie di antagonismo, di opposizione, tra le due parti di Ponte Crencano: quasi fossero due città o due paesi diversi. E a Renato questa cosa non piacque e non gli piacque mai negli anni che seguirono, gli sembrava importante trovare un’unione tra i “due quartieri”.
Se quello che abitava a 50 metri da te, o si era trasferito da un paese della provincia, era un forestiero, figuriamoci come potevano essere visti quei tre giovani preti che all’inizio degli anni Settanta arrivano dalla lontana provincia di Roma. Padre Venturino e Padre Fausto e P. Giuseppe arrivarono a Ponte Crencano nel ’73, e Renato – che a quel tempo aveva cinquant’anni – accolse i nuovi sacerdoti con grande apertura cercando di coinvolgerli il più possibile nella vita del quartiere. In loro trovò una sponda per portare avanti quel suo progetto: unire le due parti del quartiere. Erano quelli gli anni in cui da poco era nata la Chiesa di Santa Maria Ausiliatrice, attorno a cui si sviluppò subito una forte vita di comunità e partecipazione. E in ogni progetto, iniziativa, festa c’era sempre il suo zampino. Conosceva un po’ tutti, e si fermava sempre a fare un po’ di ciacole, pieno del suo buon umore. Per chi gli viveva vicino si spendeva senza esitazioni: andava nei negozi di alimentari a chiedere gli scarti che dovevano essere buttati via e li dava ai poveri. Nel suo orto piantava sempre gli alberi da frutto lungo la staccionata cosicché chiunque passasse lì vicino potesse prenderne.
Generoso, gran lavoratore, molto semplice, ma tutto d’un pezzo: se qualcosa non gli andava non aveva peli sulla lingua. Non aveva remore o timori a parlare chiaro quando qualcuno secondo lui non si comportava bene.
Ed era anche testardo, faceva sempre di testa sua e quando voleva una cosa non ci rinunciava facilmente.
Passarono gli anni, arrivarono gli Ottanta, poi i Novanta; il mondo cambiò, comparvero i cellulari, i computer; la televisione sempre più presente nelle vite delle persone, internet che unì tutte i punti della terra … nuove generazioni si affacciarono nelle vecchie e nelle nuove case, dove si spostarono nuove persone, che magari nulla sapevano dell’originaria divisione tra le due parti.
Ma, sembra incredibile, ancora nel 2000 – l’inizio dell’era della globalizzazione- quella frattura tra l’originario nucleo di via Ca’ di Cozzi e quello più recente del quartiere esisteva ancora; magari i nuovi abitanti di Ponte Crencano non ne sapevano nulla ma i vecchi lo ricordavano bene. E Renato non si era arreso con il suo progetto. Verso la fine degli anni Novanta in Via Sante Pinaroli iniziarono i lavori per creare un nuovo grande palazzo e il suo orto venne confinato nella sezione del campo verso via Mameli. Fremevano i lavori con un gran via vai di muratori, e un giorno Renato, guardandoli, ebbe un’idea. Perché non costruire una stradina che unisca simbolicamente per l’anno del Giubileo la parte di Via Ca’ di Cozzi con quella di Santa Maria Ausiliatrice? Un giorno chiese a un paio di muratori: dai “mettete un po’ di catrame qui e sistematelo”; lo fece probabilmente a suo modo: buttandola li come un piacere chiesto in amicizia: un po’ di catrame in cambio di un paio di bottiglie di vino e qualche soldo. Ma qualche mese dopo la stradina del Giubileo era pronta. E li vicino nell’orto mise una Madonna perché ogni anno nel mese di maggio si dicesse il rosario. E ancora oggi si fa proprio così.
Renato ha sempre avuto fede, riteneva la Chiesa una cosa molto importante. Magari credeva a modo suo, senz’altro pragmatico: di poche parole e molti fatti. Fino al 2017 quando è morto ha sempre voluto bene a chi gli stava intorno, per lui il quartiere voleva dire soprattutto questo.