Ernesto Tarantino
Il dottore del quartiere
É un giorno qualunque e per le strade del quartiere gira la Panda rossa del dottor Tarantino.
Le sue visite sono un incontro umano oltre che professionale. Per lui il paziente è prima di tutto una persona e tratta ognuno con dolcezza e comprensione. Sa molto bene che cosa sia la sofferenza avendola conosciuta fin da bambino quando iniziò il suo calvario per curare il ginocchio della gamba destra fratturato cadendo.
A quel tempo a Taranto non c’erano molte possibilità di cura e così fece innumerevoli viaggi con la famiglia per cercare di guarire finché non arrivò a Verona. Fu tutto inutile, la gamba rimase rigida ma lui non si abbatté mai.
Il suo sogno fin da piccolo era di diventare un medico perché di medici ne aveva conosciuti tanti.
In quegli anni i bambini non erano curati con attenzione ma con superficialità e sufficienza. Così volle diventare un medico migliore di loro e intanto sognava curando le bambole delle sue sorelle.
Negli anni quaranta l’accesso all’università era solo per pochi ricchi e suo papà era un semplice ferroviere con sei figli da mantenere. Quindi per superare l’ostacolo, essendo molto bravo al liceo, iniziò a dare lezioni private ai figli dei nobili di Verona. Riuscì così a laurearsi a Padova e dopo la laurea lavorò al sanatorio di Ponton dove lasciò in tutti un buon ricordo per le sue capacità
professionali e umane. Lavorò come medico per l’INAM e quando fu possibile, diventò medico della”mutua”, medico di base si direbbe oggi.
Ogni paziente era un caso importante per lui e non si doveva trascurare nessun sintomo.
Prendeva a cuore i suoi pazienti e lo abbiamo constatato anche trovando, dopo la sua morte, una poesia che un suo paziente gli aveva dedicato dopo una notte trascorsa al capezzale di un bambino per verificare l’andamento della malattia. Si intitolava: Come padre ha vegliato.
Cercava di contattare quei pazienti che non sentiva da troppo tempo per informarsi se le cure avevano avuto l’effetto voluto perché tutti avevano il diritto alla salute.
Era un ottimo diagnosta e le sue cure avevano un farmaco in più, l’ottimismo. Riusciva a comunicarlo con i suoi occhi sorridenti e con i suoi modi cordiali di avvicinare il prossimo.
Fu il medico dei nostri Padri della parrocchia che considerava la sua seconda famiglia e fu convinto sostenitore dell’opportunità di costruire una chiesa parrocchiale anche se al momento le risorse economiche erano poche ma confidava molto sulla provvidenza e sulla generosità dei parrocchiani. Questo atteggiamento di fiducia nel prossimo e di speranza nel futuro lo ha sempre
sostenuto e lo comunicava anche alla sua famiglia nei momenti difficili.
Ha lasciato in tutti un grande vuoto ma anche il bellissimo ricordo di un medico che ha esercitato la sua professione con il massimo impegno e dedizione, facendone lo scopo della sua vita.
Giovanna Tarantino
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