LA VIA CRUCIS DI
 
ZANGRANDI DOMENICO

Guardando le immagini

delle quattordici stazioni della “Via Crucis” di Domenico Zangrandi, che io ho conosciuto ancora da ragazzo, si rimane perplessi per la desolazione del paesaggio dalle montagne asciutte o quella netta demarcazione di un cielo implacabile, quasi privo di nubi, che, come un immenso sudario, contiene la figura dominante di Cristo nelle sue diverse attenzioni di sofferenza.
Le figure, rarissime, che partecipano al dramma, soccombono anch’esse a questa desolazione rendendo più atroce e subita la sofferenza.
Chi cerca graziose modulazioni di vesti, morbidi fraseggi di capelli o altri dettagli di maniera, rimane deluso. In Zangrandi l’unicità del contesto è potente, ogni dettaglio è assorbito dalla massa, che in modo plastico, definisce movimento o pose in quella straordinaria visione d’insieme che non concede devianze e imprime alla figura sia un aspetto reale che metafisico.
Con il critico D. Conenna potremmo dire: “… ha sempre condotto la sua indagine attraverso un grand’angolo ottico ed espressivo, grazie al quale le cose e gli uomini assumono una maestà metafisica e surreale eppure terrena e terrestre nello stesso tempo”.
È questa la principale caratteristica dell’amico Domenico, la cui sintesi compositiva ha, a volte, sollecitazioni oblique, a volte verticali, a volte orizzontali, sempre inserite in quel complesso di linee e di masse che ci ricorda un quattrocento masaccesco ripreso in chiave moderna e certamente sullo spartito tutto tipico di Zangrandi.
Sfrangia quasi sempre un blu intenso: quel lago su cui camminò Gesù e ne placò la tempesta; ma la desolazione drammatica è totale. Qualche scheletro calcinato di pianta lo amplia.
In questo desolato supporto il patire di Gesù viene reso ancora più acuto con il rosso sanguigno della veste. Un rosso che solo Domenico sapeva esprimere e che ti inchioda lì a partecipare a questo strazio a volte fin troppo umano.
Zangrandi avvertiva la lievità di una ascesi mistica ma i suoi canoni espressivi non concedevano traguardi che non fossero questi.. Ed erano e sono di magnifica valenza.
Il valore di questo dramma ci vuole attenti per cogliere il dolore-amore di Cristo che dalla croce ci implora ad una conversione autentica e ci invita pure ad una preghiera per l’artista che, con la sua fatica, ce ne ha resi partecipi.
Soffermiamoci, com’è d’obbligo, su tutte le stazioni ma riguardiamo in modo particolare la quarta, la dodicesima e l’ultima. E’ un invito.
Domenico Zangrandi fu uno dei migliori allievi della ”Accademia Cignaroli”, negli anni dell’immediato dopoguerra, quando insegnava l’illustre pittore maestro G. Trentini e dove si avvertivano ancora gli influssi del piemontese F. Casorati e della corrente “Novecento”.
Oggi il suo prestigio è notevolmente accresciuto soprattutto per i suoi temi religiosi. Esempio raro negli artisti del nostro tempo.
Domenico mi fu caro amico. Era nato nel 1928 e ci lasciò nel 1999. Questa “Via Crucis” la realizzò tra gli anni ‘63 e ’64.
Un devoto pensiero alla cara moglie Nerea, custode ed erede di tanto patrimonio d’arte e di fede.


Bruno Cobelli

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